"La pace mondiale non potrà essere salvaguardata se non con sforzi creativi, proporzionati ai pericoli che la minacciano... L'Europa non è stata fatta. Abbiamo avuto la guerra.". La voce monocorde, sgraziata del ministro francese degli Esteri Robert Schuman risuona il 9 maggio 1950 nel salone dell'orologio del Quai d'Orsay. Lo ascoltano duecento giornalisti di tutto il mondo convocati frettolosamente al ministero degli Esteri.
Quel giorno di settantacinque anni fa iniziava il processo d'integrazione europea, che alcuni storici definiscono l'idea politica più feconda del XX secolo. Dopo la guerra franco-prussiana e due guerre mondiali, Schuman si propone di assicurare al vecchio continente la pace. Non si tratta solo di far tacere bombe e cannoni, bensì di costruire questo bene prezioso attraverso atti concreti che tolgano di mezzo le cause di guerre. Il fine è alto, nobile. Le guerre attuali, crudeli e insensate, come ogni guerra, hanno una dimensione maggiore e minacciano il mondo intero e non possono non interpellare la coscienza di ogni uomo e delle chiese. Per raggiungere questo fine l'uomo politico francese propone la politica dei "piccoli passi" suggeritagli dal collaboratore e amico Jean Monnet.
Da allora la pace in Europa è stata assicurata, ma la sua difesa rischia di divenire banale soprattutto agli occhi di chi non ha vissuto l'ultima guerra mondiale. L'Europa oggi, di fronte alle controversie, alle minacce che provengono dalle grandi nazioni deve fare fronte comune e sviluppare la sua capacità di cooperare assieme, prediligendo la risoluzione pacifica.
Continua Schuman nella sua celebre dichiarazione: "Il governo francese propone di mettere l'insieme della produzione franco tedesca di carbone e di acciaio sotto una comune Alta Autorità." E' uomo di confine Schuman. La sua terra d'origine, la Mosella - Lorena, era francese, ma diventò tedesca dopo la guerra franco - prussiana, ritornò ad essere nuovamente francese dopo la prima guerra mondiale, fu occupata e annessa al terzo Reich all'inizio della seconda guerra mondiale per rivenire francese al termine del devastante conflitto. Francia e Germania si contendevano quella terra, il cui sottosuolo era ricco di ferro e di carbone, per procurarsi quelle materie prime indispensabili per costruire macchine e ordigni bellici. Occorreva togliere di mezzo questo motivo alle due parti contendenti e affidare la loro produzione ad un'autorità terza. Al progetto di Schuman aderiscono subito l'Italia, il Belgio, il Lussemburgo e i Paesi Bassi: nasce la prima comunità: la C.E.C.A. (Comunità Europea del Carbone e dell'Acciaio). Essa è frutto della conciliazione fra due paesi rivali e si basa sul perdono. Nasce una nuova entità politica finora sconosciuta nei trattati internazionali: una "comunità", cioè un insieme di stati-sovrani decisi a cedere ad un'autorità sovrannazionale qualche loro competenza allo scopo di distruggere il carattere distruttivo dell'ipertrofia degli stati nazionali sovrani assoluti.
Giuseppe Dossetti scrive in un suo libro: “Ci resta da dire ciò che dobbiamo fare, in ogni caso, cristiani e non credenti. La prima cosa da fare, in modo risoluto, sistematico, profondo e vasto è l’impegno per una lucida coscienza storica e perciò ricordare: rendere testimonianza in modo corretto degli eventi. Occorre proporsi di conservare una coscienza non solo lucida, ma vigile capace di opporsi ad ogni inizio di “sistema di male”, finché ci sia tempo.”
L'uditorio si fa più attento quando "l'umile artigiano di pace" proclama che la fusione delle produzioni di carbone e di acciaio assicurerà subito la costituzione di basi comuni per lo sviluppo economico, prima tappa della Federazione europea". Se la conciliazione franco-tedesca costituisce la pietra angolare della comune casa europea, lo sviluppo economico diventa il primo pilastro fondante. Esso è solo un mezzo per costituire un'Europa unita, una tappa per arrivare a ciò che è molto più importante: l'unità politica.
Il secondo pilastro è "una solidarietà di fatto". Essa esige che le economie si armonizzino, che le nazioni più prospere aiutino quelle più povere, ben sapendo che, un domani, le une potrebbero avere bisogno delle altre.
Altro pilastro su cui si erige la nuova costruzione è la sovra-nazionalità, che non è la negazione della patria, ma l'allargamento della sua cultura, storia e tradizioni verso altre nazioni. Non è rinnegare la propria identità, ma arricchirla con quelle degli altri paesi. E' la cultura che le darà un’anima perché non piò limitarsi ad una struttura puramente economica. Ha già in comune una moneta, delle istituzioni che devono essere aggiornate. Ci manca una politica estera e di difesa comuni.
È da insensati rifugiarsi oggi, in questa epoca di cambiamenti veloci e di guerre, erigere muri, esaltare le proprie frontiere (sarebbe breve il passo dall'esaltazione all'appello a difenderle con le armi!). Come si potrebbe combattere da soli grandi sfide come il cambiamento climatico, il terrorismo, l'evasione fiscale, l'aggressività russa, il fenomeno dell'immigrazione?
Questa è l'Europa voluta da Robert Schuman. La "comunità" è divenuta Unione. Essa deve oggi portare a compimento il suo lungo e tentennante processo d'unificazione politica. il processo disgregativo appare possibile, forse probabile. Nessun futuro è certo. Resta a noi europei essere arbitri del nostro destino. Finché ci sarà tempo.